L’amministrazione Biden sarà ricordata per aver posto le condizioni per il ritorno di una guerra devastante nel cuore dell’Europa, per il suo supporto incondizionato a Israele e, in ultimo ma non meno importante, per l’acuirsi della guerra economica con la Cina. Il Doomsday clock, l’orologio controllato dagli scienziati atomici che simbolicamente conta il tempo che ci separa dalla mezzanotte dell’apocalisse nucleare è passato da 100 a 90 secondi dall’insediamento di Biden. La catastrofe climatica procede inarrestabile, gli Stati Uniti hanno incrementato la produzione di petrolio e gas, ma il fronte più critico è sempre quello ucraino dove si fronteggiano due potenze nucleari. La guerra provocata dall’avanzamento verso Est della Nato, come ora risulta evidente a chiunque, sembra avviarsi alla sua fase terminale. L’amministrazione Trump si troverà a gestire una sconfitta epocale, questa volta non contro un nemico asimmetrico come nel caso del Vietnam o dell’Afghanistan, ma contro una grande potenza.
La guerra in Ucraina ha prodotto una delle svolte geopolitiche più impreviste e sorprendenti della storia moderna. La Russia non ha subito una sconfitta strategica decisiva grazie al differenziale di potere e ricchezza tra questa e i paesi Nato come era stato preventivato dai supposti grandi strateghi occidentali, come Draghi. La guerra per procura degli Usa contro la Russia attraverso l’Ucraina ha mostrato che un’economia basata sulla finanziarizzazione non è più forte di un’economia basata sulle risorse naturali e sulla produzione effettiva di merci. Un conflitto ad alta intensità durato tre anni ha rivelato in termini inequivocabili che le nazioni deindustrializzate occidentali sono del tutto incapaci di vincere le guerre come anche il nuovo segretario della Nato Rutte oggi riconosce. La guerra economica, che si intravedeva all’inizio del conflitto in Ucraina, è ora il principale attore sulla scena che ha messo a nudo le debolezze non solo strutturali ma anche intellettuali, oltre che etiche e morali, dei Paesi occidentali. Trump dice che vuole trovare un’intesa con la Russia e ritirarsi dall’Europa. Non sarà così facile passare dalle dichiarazioni ai fatti, perché i russi non sembrano nella situazione di fare concessioni particolari e certamente non potranno cedere sull’ammissione dell’Ucraina nella Nato e sull’annessione dei quattro Oblast, più la Crimea, già avvenuta (ma non riconosciuta). Si tratterebbe di una débâcle militare e una catastrofe politica non facili da accettare né per l’establishment americano né per quello europeo. Purtroppo, oggi, chi vuole continuare la guerra a oltranza sembrano essere gli europei (con le eccezioni di Ungheria, Slovacchia e, in teoria, Romania!) piuttosto che la nuova amministrazione americana. L’Europa non ha mai ipotizzato una via diplomatica e il fatto che Trump metta sul tavolo questa eventualità spinge in un angolo angusto e claustrofobico le cosiddette élite europee.
Per vincere la Guerra Fredda è stato fondamentale convincere una parte significativa del mondo che la propria causa fosse legittima. Tuttavia, il mondo ha già visto cosa accade quando gli Stati Uniti raggiungono l’unipolarità: una politica estera arrogante sotto ogni amministrazione. La maggior parte dei paesi non desidera tornare a questa situazione: mentre l’Occidente ha cercato di isolare la Russia, la maggioranza del Sud Globale simpatizza con essa. La transizione verso un ordine mondiale multipolare è dunque inevitabile ed è già in essere. La guerra in Ucraina ha avuto la funzione di volano spingendo la Russia e la Cina a formare una partnership strategica apparentemente indissolubile per una convergenza di interessi: contrastare l’onnipresente minaccia americana. La domanda è quando gli Stati Uniti, e l’Europa al seguito, smetteranno di resistere a questa realtà e inizieranno a essere attori costruttivi di un nuovo mondo.
