Francesco Sylos Labini, FQ 27.12.25
Nelle democrazie costituzionali, come l’Italia, vige un principio fondamentale: nessuno può essere punito o privato dei propri diritti senza una decisione di un giudice, pronunciata in seguito a un
giusto processo.
Questo è garantito dagli articoli 24 e 25 della Costituzione italiana, nonché dall’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Fin da piccoli ci è stato insegnato che la democrazia liberale si fonda sulla separazione dei poteri — esecutivo, legislativo e giudiziario —, sulla tutela delle minoranze contro l’arbitrio della maggioranza, sul pluralismo
politico e sul pieno rispetto delle libertà individuali e collettive, a partire da quella di espressione.
Personalmente, mi ritengo fortunato a essere nato in una democrazia liberale, e proprio per questo
ritengo fondamentale difendere questo sistema politico, senza nulla togliere ad altri modelli
istituzionali, sviluppatisi in contesti storici e culturali differenti.
Una democrazia costituzionale non può esistere senza Stato di diritto, cioè senza il principio per cui
tutti, cittadini e istituzioni, sono soggetti alla legge che dev’essere chiara, accessibile, prevedibile e
applicata in modo imparziale da un potere giudiziario indipendente. Solo attraverso la separazione dei poteri e un effettivo bilanciamento tra essi si possono garantire i diritti fondamentali.
Per questo motivo, lo Stato di diritto dovrebbe costituire un pilastro essenziale dell’Unione Europea, fondamento del suo funzionamento democratico e garanzia concreta dei valori di giustizia, uguaglianza e rispetto dei diritti umani.
La vicenda delle sanzioni contro Jacques Baud, ex colonnello dei servizi segreti svizzeri, evidenzia
con chiarezza il cedimento dell’architettura dello Stato di diritto in ambito europeo.
La Commissione Europea lo ha inserito in una lista di sanzioni individuali — equivalenti a una vera e
propria morte civile, tra divieti di viaggio e congelamento dei beni — senza alcuna accusa formale, senza processo, senza possibilità di difesa. Una decisione in aperta violazione dei principi
fondamentali che dovrebbero garantire ogni ordinamento democratico. Il motivo è di aver
espresso opinioni critiche sulla NATO e sulla guerra in Ucraina, citando — tra l’altro — una dichiarazione
del 2019 di un funzionario ucraino.
In sostanza, è accusato di “propaganda filo-russa”.
Personalmente, leggendo i suoi libri, non solo ho trovato un’analisi informata e rigorosa dei conflitti
in corso, ma ho anche compreso il senso più profondo del lavoro di intelligence: un’attenta analisi delle fonti, dei fatti, e delle loro conseguenze strategiche.
Le lezioni che ne ho tratto sono semplici ma essenziali: per risolvere un conflitto occorre comprenderne le cause profonde, e trovare una
strada in cui le ragioni di entrambe le parti vengano riconosciute e affrontate. Esattamente ciò che si
è cercato in ogni modo di evitare nel conflitto russo-ucraino.
Nel caso Baud non c’è stata alcuna accusa legale di violazione di una legge specifica, nessun
giudice, nessun processo, nessun diritto alla difesa, nessuna trasparenza. Ventisette ministri europei,
o loro delegati, hanno votato a porte chiuse a Bruxelles per annientare la vita di una persona
colpevole solo di aver espresso opinioni sgradite. Baud risiede attualmente a Bruxelles, ma non può
rientrare in Svizzera, non ha accesso ai propri conti bancari, non può acquistare cibo o medicine, né ricevere assistenza da terzi: anche se l’accesso ai beni di prima necessità sarebbe un diritto umano
fondamentale, in questo caso è negato.
Una simile punizione non esiste in nessun ordinamento democratico: si tratta di un atto politico
arbitrario, privo di ogni garanzia, che ha cancellato da un giorno all’altro ogni possibilità di sostentamento per una persona.
Stabilire se un cittadino ha commesso un reato e comminare una
pena è responsabilità esclusiva del potere giudiziario, che deve agire in modo indipendente e
secondo la legge.
Non dell’esecutivo.
E tanto meno sulla base delle sue opinioni personali dato che nessuna legge vigente sembra essere stata violata.
Persino Mussolini, pur nel pieno del suo
autoritarismo, si preoccupò di istituire “tribunali speciali” per dare almeno una parvenza di legalità alle sue repressioni.
Oggi l’UE nemmeno finge: le sanzioni vengono comminate per via esecutiva, senza alcun controllo giudiziario.
Il caso Baud rappresenta dunque un pericoloso spartiacque.
Non solo per il trattamento riservato a un singolo individuo, ma per ciò che implica sul piano dei principi.
Segna un cambio radicale
nell’approccio dell’UE verso il dissenso e la libertà di espressione, e soprattutto sancisce la dissoluzione dello Stato di diritto, uno dei pilastri su cui si fondava il progetto europeo.
E quando la separazione dei poteri viene meno, e l’esecutivo si arroga il diritto di punire individui senza processo, non siamo più di fronte a una democrazia liberale, ma stiamo scivolando verso un regime autoritario centralizzato.
Un sistema in cui sopravvivono solo elementi formali di democrazia, ma in
cui manca il reale pluralismo politico, le libertà civili sono compresse, e il potere si concentra nelle
mani di un’élite non direttamente legittimata dal voto.
In un simile contesto, la paura delle idee non
è solo un cattivo segnale:
è l’indicatore più chiaro della fine del confronto democratico.