I dati sui morti ci sono. È ora di metterli a disposizione di tutti

I dati sulla diffusione dell’epidemia mostrano una frenata nella sua diffusione che però continua a persistere più a lungo di quanto sperato. Per programmare una “fase 2” è dunque di cruciale importanza capire i motivi di questo rallentamento. Ci sono vari fattori che vanno considerati. L’andamento che osserviamo su scala nazionale è dovuto alla somma degli andamenti di diverse Regioni e anzi di diversi gruppi di Comuni in ogni Regione. L’epidemia si è sviluppata in ognuno in tempi diversi. Dunque, il dato nazionale è una somma incoerente di andamenti eterogenei e già questo rende difficile una previsione anche su scala regionale. Inoltre, la rete su cui l’epidemia si sviluppa è complessa: pochi siti (persone o luoghi) sono molto connessi e tanti siti sono poco connessi. Queste reti sono inclini alla diffusione e alla persistenza delle infezioni qualunque sia il tasso di diffusione. In questa situazione avere dei dati affidabili che mostrano come l’epidemia si sviluppa è la chiave per poter predisporre le misure adeguate al suo contenimento e programmare un eventuale rilassamento delle misure fin qui adottate a tappeto sul territorio nazionale. I dati al momento sono un punto dolente e non danno una rappresentazione adeguatamente precisa della situazione da poter suggerire misure ad hoc per i diversi territori. Eppure, dei dati migliori sono sicuramente disponibili ma al momento non sono pubblici.

Da una parte è necessario che l’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) renda disponibili alla comunità scientifica tutti i dati della mortalità comunale negli ultimi dieci anni: questo per eliminare degli effetti di selezione sia di carattere geografico sia per l’ampiezza dell’anomalia delle morti di quest’anno rispetto agli anni passati. Il valore della mortalità ricavabile dai dati Istat è normalmente superiore, a volte molto superiore, di quello attribuito al Covid-19 dai dati delle Regioni, del ministero della Salute della Protezione Civile. La differenza è interpretata come dovuta ad una sottostima dei decessi dovuti al contagio. Questa interpretazione, pur plausibile, ha però dei controesempi significativi.

Per due casi lombardi, il Comune di Bergamo e quello di Brescia, la differenza dei morti registrati Istat e quelli ufficialmente dovuti a Covid è elevata: a Bergamo è molto più alta del valore aspettato, mentre a Brescia questa, per i dati disponibili del 14,15 e 19 marzo, non mostra particolari anomalie (ma è leggermente superiore il 24 marzo). Essendo i Comuni geograficamente vicini, la differenza della mortalità potrebbe non essere dovuta ad una sottostima del contagio, ma dipendere da fattori contingenti. La stessa analisi estesa ai Comuni presenti nel dataset Istat, che sono solo una parte, mostra una forte disomogeneità geografica del fenomeno. In questo caso si intuisce come avere i dati a livello comunale e per tutti i Comuni potrebbe permettere di trovare le zone geografiche in cui comportamenti diversi si manifestano.

Capire la dinamica dell’epidemia a livello geografico e nella sua evoluzione temporale è di interesse non solo scientifico ma anche per la pianificazione delle misure di intervento più adeguate. Se è semplice capire che il contagio si evolve con le “gambe” delle persone, studiare tale dinamica non è facile e richiede l’incrocio di dataset diversificati (a volte le “gambe” delle persone sono treni ed aerei). Come esempi di quel che si può fare, pur avendo solo a disposizione il dataset Istat, abbiamo cercato di ricostruire l’evoluzione della diffusione dell’epidemia usando come indicatore il giorno del cambio di pendenza della mortalità.

Per esempio, nel caso di Lodi il cambio di pendenza è stimato al 23 febbraio: da lì si può determinare come la vicinanza geografica abbia costituto una correlazione per la diffusione dell’epidemia nei Comuni limitrofi e dunque stimare il ritardo nella propagazione. Se si avessero dati in tempo reale, si potrebbe anche intervenire in maniera più efficace. Come abbiamo notato nelle reti complesse ci sono pochi “hub” con tante connessioni e molti siti con poche connessioni ed i primi sono i più importanti per la diffusione E allora la cosa da fare è innanzitutto, in entrambi i casi, lavorare sugli hub: identificarli e fare in modo di contenerli invece di adottare misure generalizzate. In questo senso i dati della mortalità che potrebbero essere messi a disposizione dall’Istat, insieme ai dati sul Covid a livello comunale, rappresentano i dataset fondamentali per qualsiasi analisi e dunque per la messa a punto di una strategia adeguata e mirata. Perché non sono ancora pubblici?

*Istituto Nazionale di Fisica Nucleare **Centro Ricerche Enrico Fermi

Pubblicato su Il Fatto Quotidiano 19.4.2020

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