L’estate italiana tra giugno e luglio 2025 ha vissuto un’ondata di caldo eccezionale, con temperature record e impatti drammatici sulla salute pubblica, l’ambiente urbano e i servizi essenziali. Eppure, secondo il report dell’Osservatorio di Pavia per Greenpeace, solo in circa un caso su quattro le notizie televisive hanno collegato queste ondate al cambiamento climatico: nella stragrande maggioranza dei casi l’origine antropica del fenomeno non è menzionata, o al massimo viene citata in modo superficiale. I principali quotidiani risultano ancora più carenti: quasi il 70 % degli articoli dedicati alle ondate di calore non fa alcun riferimento al riscaldamento globale. Quando lo fa, lo fa come nota introduttiva, senza approfondire le cause vere e proprie come le emissioni di gas serra
Questa narrazione è profondamente fuorviante e crea l’illusione che eventi estremi siano casi isolati, legati magari a momenti storici precedenti (come le ondate del 2003 o del 1969), e non sintomi tangibili di una tendenza globale in espansione. Negli ultimi vent’anni, invece, la frequenza e l’intensità delle ondate di calore sono aumentate con chiarezza e coerenza, in parallelo con l’aumento della temperatura media globale. Ignorare il contesto climatico significa ridurre la comprensione del fenomeno a un’emergenza meteo: sbagliato dal punto di vista informativo e politico.
Questo cambiamento climatico comporta effetti ben oltre l’afa urbana. Terreni più caldi e secchi alimentano incendi boschivi; alcune aree del Mediterraneo registrano temperature marine fino a 6 °C sopra la media, condizioni che favoriscono piogge torrenziali, cicloni e tifoni, perché aria e oceano riscaldati trattengono più vapore acqueo. La siccità si estende, i ghiacciai si sciolgono, il livello del mare sale e le nevicate diminuiscono. Paradossalmente, queste conseguenze vengono raccontate ampiamente come emergenze temporanee, senza collocarle in una prospettiva sistemica
Se il riscaldamento globale è un fatto ormai inoppugnabile, la causa principale di questo fenomeno è altrettanto documentata: l’aumento dei gas serra in atmosfera dovuto all’attività umana. Dai dati satellitari alle misurazioni in situ, fino ai modelli climatici avanzati, esiste un consenso scientifico solido: i modelli iniziati da Syukuro Manabe e Richard Wetherald negli anni ’60, premiati con il Nobel per la fisica nel 2021, prevedevano che un raddoppio della CO₂, da circa 150 a 300 ppm, avrebbe causato un riscaldamento della troposfera di circa +2,3 °C, accompagnato da un raffreddamento della stratosfera. Questo profilo verticale è esattamente quello osservato negli ultimi cinquant’anni e costituisce la “firma” dell’effetto serra antropico. Se invece il riscaldamento fosse dovuto ad un picco dell’attività solare, ci aspetteremmo un riscaldamento più uniforme su tutti gli strati atmosferici, ma così non è.
Il clima è sempre cambiato: sono state ricostruite attraverso misure della temperatura e della concentrazione di gas serra nelle carote di ghiaccio artiche delle variazioni con una periodicità tra dieci e centomila anni, dovute ai cambiamenti dei parametri orbitali della terra, che possono essere calcolati e previsti con notevole precisione e che modulano l’irraggiamento solare. Inoltre, sono state osservate nel passato variazioni più rapide dovute ad un intensificarsi dell’attività vulcanica e dell’attività solare. Tuttavia, oggi ci troviamo di fronte ad un fenomeno totalmente nuovo nella variazione del clima terrestre caratterizzato dalla velocità con cui si sta verificando. Il contributo antropico è infatti concentrato negli ultimi 150 anni, un tempo scala notevolmente più breve di quelli naturali.
Dal punto di vista delle responsabilità storiche, gli Stati Uniti registrano circa 450 gigatonnellate di emissioni cumulative, l’Europa circa 300 e la Cina intorno a 280. Questo significa che, pro capite, sono i paesi occidentali a detenere la quota più alta di responsabilità. In particolare, la Cina ha raggiunto il picco di emissioni solo negli ultimi anni ed è ora in rapida ascesa verso le energie rinnovabili grazie ad un massiccio investimento nell’energia solare maggiore della somma di quello di tutti i paesi occidentali. Invece di approfittare di questo impetuoso sviluppo tecnologico sviluppando collaborazioni con i cinesi per cercare di arginare la catastrofe che incombe, i governi occidentali pensano a riamarsi in vista di una improbabile guerra con la Cina oltre con gli altri nemici immaginari che ci circonderebbero. La miopia delle nostre classi dirigenti è solo pari alla loro avidità, perché dietro la distorta rappresentazione mediatica del problema, che serve ad anestetizzare il dibattito pubblico, ci sono sempre e solo precisi interessi economici.
In definitiva, il caldo estremo che viviamo non è un episodio meteorologico casuale: è un sintomo ignorato di un fenomeno sistemico e globale. Per affrontarlo serve una narrazione informata, basata su dati certi, e politiche decise di mitigazione: riduzione delle emissioni, accelerazione della transizione energetica e presa di coscienza collettiva. Solo così potremo trasformare un racconto scoraggiante in un impegno collettivo per un futuro sostenibile.