Atomica, la narrazione che manipola la storia

L’orologio dell’Apocalisse è stato spostato a soli 89 secondi dalla mezzanotte, simbolo della catastrofe nucleare. Questo orologio valuta la probabilità di una catastrofe globale causata dall’uomo secondo il Bulletin of the Atomic Scientists, l’organizzazione no-profit che lo gestisce ininterrottamente dal 1945, quando fu fondata da Albert Einstein e da alcuni ex scienziati del Progetto Manhattan.

Nell’opinione pubblica, la bomba atomica ha rappresentato per i fisici una sorta di peccato primordiale: gli apprendisti stregoni che hanno aperto le porte dell’era atomica. Nella narrazione ufficiale furono loro stessi a dare il via libera all’utilizzo dell’arma per traumatizzare il nemico, costringerlo alla resa incondizionata e, così facendo, risparmiare la vita a circa un milione di giovani americani: tante sarebbero state, secondo quella versione, le perdite previste per l’invasione del Giappone. Ma come hanno potuto grandi fisici come Julius Oppenheimer o Enrico Fermi reggere il peso di una simile responsabilità, con 100 mila morti provocati da una sola bomba?

Nel caso delle bombe atomiche, la discussione si è concentrata soprattutto sul ruolo dei fisici, e in Italia su quello di Fermi, protagonista del Progetto Manhattan. Eppure, a ottant’anni di distanza, grazie alla pubblicazione di molti documenti e all’esperienza di altre manipolazioni dell’opinione pubblica, è maturata la convinzione che le versioni ufficiali degli eventi storici e militari debbano essere analizzate con spirito critico. La vicenda dell’uso delle armi atomiche non fa eccezione come è raccontato in grande dettaglio nella monumentale opera dello storico americano Gar Alperovitz The Decision to Use the Atomic Bomb (Vintage Books, 1996). Enrico Fermi e Leo Szilárd furono tra i principali protagonisti del Manhattan Project. Due personalità molto diverse: Szilárd, ebreo ungherese, eccentrico e politicamente sensibile; Fermi, invece, incarnava davvero “l’ultimo uomo che sapeva tutto”, come recita il titolo della migliore biografia a lui dedicata (Solferino, 2018). Dopo gli esperimenti del 1939, in cui Fermi e Szilárd dimostrarono la fattibilità di una reazione a catena autosostenuta di fissione dell’uranio, Szilárd convinse Einstein a firmare una lettera al presidente americano Roosevelt per finanziare la costruzione di una bomba atomica. La motivazione era il timore che la Germania, all’epoca superpotenza scientifica e tecnologica, arrivasse per prima.

Dopo la resa tedesca nell’aprile 1945 era però chiaro che il Giappone fosse vicino alla capitolazione, soprattutto di fronte all’ingresso in guerra dell’Unione Sovietica. Come osservò Szilárd già nel maggio 1945, il segretario di Stato Byrnes non sosteneva la necessità di usare la bomba per vincere la guerra: sapeva, come tutto il governo, che il Giappone era ormai sconfitto e che in pochi mesi sarebbe stato piegato. La sua preoccupazione era piuttosto l’espansione dell’influenza russa in Europa: il possesso e la dimostrazione della bomba avrebbero reso la Russia “più gestibile”. Szilárd capì che la decisione era già stata presa, di fatto, quando i sovietici arrivarono a Berlino. Tentò comunque di opporsi promuovendo una petizione contro l’uso dell’arma, a futura memoria. Ufficialmente venne istituito un Comitato Interinale, affiancato da un panel di quattro consulenti scientifici, tra cui Fermi. Ma, come ricordò nelle sue memorie il generale Groves, capo militare del Manhattan Project: “La storia del Comitato Interinale che avrebbe avuto qualche influenza sulla decisione di usare la bomba atomica… è semplicemente un nonsense. Il comitato fu scelto con attenzione e composto solo da civili, così da escludere qualsiasi pretesa che i militari volessero governare il paese.”

Nonostante ciò, la narrazione dell’uso della bomba per prevenire l’invasione del Giappone e salvare un milione di vite americane è rimasta nell’immaginario collettivo. Lo stesso Fermi era convinto di aver contribuito “a troncare una guerra”. In realtà, l’uso delle bombe segnò l’inizio di un nuovo conflitto: la Guerra fredda contro l’Unione Sovietica. I fisici parteciparono al progetto per la costruzione della bomba per ragioni valide, il timore che la Germania nazista arrivasse prima: una volta compreso che la scissione dell’uranio era possibile era diventata solo una questione di tempo a chi ci sarebbe arrivato prima, e anche i fisici sovietici parteciparono alla corsa. Ma della decisione di usarla non ebbero alcuna responsabilità. Oggi il ricordo di Hiroshima e Nagasaki ha ben poco a che fare con il passato. Ciò che resta attuale, invece, è la manipolazione dell’opinione pubblica da parte delle élite di governo, una pratica più presente che mai.

Pubblicato su Il Fatto Quotidiano

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