Recensione del libro di Pino Arlacchi La Cina spiegata all’Occidente
L’interesse attuale per la Cina coincide con l’interesse per il cosiddetto “miracolo cinese”: il più grande e rapido miglioramento delle condizioni di vita per il maggior numero di persone nel più breve arco di tempo mai registrato nella storia dell’umanità. Dal 1980 al 2020, la percentuale di popolazione che viveva in povertà estrema è stata completamente azzerata: si è passati da circa il 70% nelle aree urbane e oltre il 90% in quelle rurali a zero. Il PIL pro-capite è aumentato di 12 volte dal 1990, mentre il PIL totale in termini di parità di potere d’acquisto ha superato quello degli Stati Uniti già nel 2015. Circa 700 milioni di persone sono passate dalla povertà alla classe media.
Nel frattempo, la Cina è diventata la “fabbrica del mondo”, accrescendo la propria quota nella produzione manifatturiera globale da meno del 10% nel 2000 a oltre il 35% attuale. Questa crescita ha portato a un aumento dei salari reali di circa sette volte dal 2000.
Il miracolo cinese può essere suddiviso in due fasi principali, entrambe di circa 30 anni. La prima fase inizia nel 1972, con la storica visita del presidente statunitense Richard Nixon nella Repubblica Popolare Cinese, che diede avvio al processo di normalizzazione dei rapporti tra Washington e Pechino. Questa fase si conclude nel 2001 con l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), un passaggio cruciale che ha trasformato l’economia cinese, accelerando la sua integrazione nel sistema commerciale globale e aprendo nuove opportunità per le imprese multinazionali.
La seconda fase dello sviluppo cinese è caratterizzata dalla transizione da un’economia basata sulla produzione di merci a basso valore aggiunto a una fondata sull’innovazione tecnologica e scientifica che ha permesso alla Cina di diventare leader in molti settori di alta tecnologia. In questo periodo, la Cina è diventata a tutti gli effetti una superpotenza nel campo della scienza e della tecnologia.
Secondo l’indice redatto dalla rivista Nature, attualmente 7 delle 10 principali istituzioni scientifiche al mondo sono cinesi, con al primo posto l’Accademia delle Scienze della Cina. Il numero di dottorati cinesi nelle discipline scientifiche e tecnologiche ha ormai superato il corrispettivo statunitense, segnalando un investimento sistematico e strategico nella formazione di capitale umano altamente qualificato.
Anche sul fronte dell’innovazione, i numeri parlano chiaro: la Cina detiene la maggioranza dei brevetti registrati nei settori tecnologici critici, inclusi quelli sensibili per le applicazioni militari. Un esempio emblematico è quello dell’intelligenza artificiale, dove circa il 70% dei brevetti globali proviene dalla Cina, a fronte del 14% degli Stati Uniti e del 2,8% dell’Europa. Analoga leadership si riscontra nel campo delle energie pulite, in particolare nel solare e nell’eolico, dove la Cina guida la corsa mondiale sia in termini di innovazione sia di capacità produttiva. Grazie a colossali investimenti pubblici e privati, il costo delle batterie elettriche è diminuito del 90% in meno di quindici anni, mentre i tempi di installazione per un gigawatt (GW) di capacità solare si sono ridotti da un anno nel 2004 a un solo giorno nel 2023. Nei primi sei mesi del 2025, la Cina ha installato 250 GW di nuova capacità solare, una cifra che equivale a circa il 150% della produzione elettrica complessiva della Francia.
Ciò che è accaduto in Cina in meno di mezzo secolo non è avvenuto in Occidente neppure in tre secoli, nonostante il colonialismo, le guerre di conquista, civili, mondiali e la rivoluzione industriale. Come è stato possibile realizzare un simile balzo storico?
Il libro di Pino Arlacchi “La Cina spiegata all’occidente” (Fazi, 2025) si propone di rispondere a questa domanda, analizzando gli elementi filosofici, politici e strategici che hanno reso possibile il cosiddetto “miracolo cinese”. Un percorso unico di sviluppo economico, sociale e tecnologico che ha sollevato dalla povertà centinaia di milioni di persone, trasformando la Cina in una potenza globale.
Arlacchi mette subito in evidenza che l’ascesa della Cina non è un’inedita novità storica, ma piuttosto una rinascita. Per circa duemila anni, infatti, la Cina è stata il paese leader a livello globale dal punto di vista economico, scientifico, tecnologico e culturale. Questa supremazia millenaria si è interrotta bruscamente con le guerre dell’oppio, quando l’Impero britannico, attraverso un uso spregiudicato della violenza organizzata e della potenza militare, impose un regime di subordinazione. Questo periodo, noto in Cina come il “secolo della grande umiliazione”, si è concluso solo con la rivoluzione comunista guidata da Mao Zedong.
Secondo Arlacchi, i pilastri della rinascita cinese sono tre e affondano le loro radici in una tradizione storica millenaria. Il primo è l’avversione per la guerra: la Cina non è, e non è mai stata, una potenza espansionista. Al contrario, esiste una consolidata tradizione filosofica secondo cui la guerra rappresenta un fallimento della politica, non la sua continuazione con altri mezzi. Questo orientamento è confermato dal fatto che la Cina non è stata coinvolta in alcun conflitto militare di rilievo dalla Seconda guerra mondiale, eccezion fatta per la breve guerra di confine con il Vietnam nel 1979. Oggi, la Cina possiede una sola base militare al di fuori del proprio territorio nazionale, situata a Gibuti, nel Corno d’Africa, che svolge principalmente funzioni di monitoraggio delle rotte marittime commerciali. In netto contrasto, gli Stati Uniti dispongono di oltre 800 basi militari sparse nei quattro angoli del pianeta.
Il secondo pilastro è la selezione meritocratica della classe dirigente, basata su un sistema di esami rigorosi e sulla costante valutazione dei risultati. Si tratta di un’eredità dell’epoca imperiale, quando i funzionari statali – i mandarini – venivano scelti attraverso un articolato sistema di concorsi pubblici. Governare, nella tradizione cinese, significa saper scegliere i migliori: la competenza dei dirigenti è considerata una condizione essenziale per l’efficienza dell’intero apparato statale. Questa struttura meritocratica non solo garantisce il buon funzionamento delle istituzioni, ma funge anche da potente strumento di mobilità sociale. Il Partito Comunista Cinese rappresenta oggi uno dei sistemi di selezione più meritocratici al mondo: i suoi leader emergono dal basso, attraverso un lungo percorso di formazione, esperienze amministrative e valutazioni sistematiche.
Il terzo pilastro è la costruzione della “via cinese al socialismo”, ovvero un sistema politico non capitalistico definito anche come socialismo con caratteristiche cinesi. In questo modello, lo Stato mantiene il controllo delle risorse naturali, delle materie prime, delle banche e del credito, dei trasporti, delle infrastrutture strategiche e della difesa, compreso il settore militare. Uno Stato forte garantisce le condizioni stesse di esistenza del mercato: il mercato è libero, ma è usato come strumento di governo e regolazione. La competizione tra imprese viene incentivata, ma in un quadro che favorisce l’interesse generale. In questo modo, secondo Arlacchi, la Cina è riuscita ad “addomesticare la bestia capitalista” e a metterla al servizio della costruzione di una società socialista.
Alcuni tratti della politica economica cinese richiamano, sia pure in scala diversa e in un contesto storico profondamente diverso, alcune caratteristiche dell’Italia durante il boom economico dei “gloriosi Trenta”. Questo parallelismo dovrebbe indurci a riflettere su come la rivoluzione neoliberista, avviata negli anni Ottanta del secolo scorso, abbia progressivamente eroso il sistema produttivo italiano, minando al contempo il tessuto politico e le prospettive di sviluppo del Paese.
Queste condizioni del sistema economico cinese garantiscono una solida coesione sociale e fondano la legittimità del potere sulla sua capacità di produrre sviluppo. Sebbene la libertà di espressione sia soggetta a limitazioni, ogni anno oltre cento milioni di cittadini cinesi viaggiano per turismo in tutto il mondo senza che si registrino richieste significative di asilo politico. Questo dato rappresenta un indicatore eloquente del vasto consenso di cui gode il governo, stimato attorno al 90% della popolazione.
Un altro aspetto chiave del successo cinese è stato l’approccio fortemente pragmatico adottato dalla leadership politica, ben riassunto nel celebre detto di Deng Xiaoping: «Non importa se il gatto è bianco o nero, purché catturi i topi». Questo pragmatismo si è tradotto in una serie di sperimentazioni sociali ed economiche condotte su scala locale: negli ultimi vent’anni, alcune province cinesi hanno svolto il ruolo di laboratori per politiche particolari, che, una volta dimostratesi efficaci, sono state progressivamente estese al resto del Paese.
La Cina non rappresenta né un modello da imitare né una minaccia per il mondo. La sua storia millenaria testimonia l’assenza di mire espansionistiche e una vocazione alla convivenza pacifica tra i popoli, facendo del multipolarismo un elemento naturale della sua politica estera. Al tempo stesso, il modello politico e sociale cinese – esito di un’evoluzione storica propria e profonda – non è esportabile in altri contesti. Tuttavia, la Cina rappresenta un riferimento essenziale perché dimostra che un’alternativa è possibile, chiudendo simbolicamente la lunga fase unipolare dominata dal dogma thatcheriano del “there is no alternative”. La ricerca di alternative è oggi particolarmente urgente, in un momento in cui le democrazie occidentali mostrano i loro limiti strutturali: la formazione di disuguaglianze insormontabili nella distribuzione della ricchezza ha eroso le basi stesse della partecipazione democratica. Le crescenti concentrazioni di ricchezza si traducono in concentrazioni di potere economico e politico, rendendo evidente che il semplice atto del voto non è più sufficiente a garantire un effettivo esercizio della democrazia.
La Cina rappresenta oggi, al tempo stesso, il perno del nuovo ordine multipolare che emerge dal declino dell’impero americano e la speranza di un assetto globale fondato sulla pacifica convivenza tra i popoli. In questo scenario, si intravede la possibilità concreta di porre fine al ciclo delle “guerre infinite” che ha segnato l’ultimo mezzo secolo di storia mondiale.
Il libro di Pino Arlacchi spiega perché questa rinascita sia stata possibile e quali siano le sue radici profonde, storiche e culturali.