M: Già a partire da questa sua prima risposta si aprono e si intrecciano molteplici questioni fondamentali che meritano di essere approfondite. Pensiamo potrebbe essere fruttuoso percorrere una strada esplicativa a partire dai problemi epistemologici che presenta la teoria mainstream, per giungere poi ai problemi socio-politici che ne conseguono. Gli economisti neoclassici sono stati capaci di organizzare un paradigma che si è imposto in una molteplicità di settori e istituzioni, arrivando a monopolizzare completamente la discussione economica che informa le decisioni politiche. Quali sono i principi alla base di questo modello?
FSL: Il nucleo dell’analisi economica standard, che rappresenta anche un’importante base per le sue numerose applicazioni nel mondo della politica, è la teoria dell’ equilibrio competitivo generale. La sua formulazione moderna è dovuta all’economista francese Leon Walras e in seguito è stata sviluppata da tanti autori a cominciare dal contributo fondamentale di Gerard Debreu e Kenneth Arrow. Dal lavoro di Walras in poi gli economisti neoclassici concettualizzano gli agenti, che possono essere le famiglie, le imprese, ecc., come entità razionali che ricercano i «migliori» risultati, cioè i massimi guadagni possibili, situazione che da un punto di vista matematico equivale a trovare il massimo di un’opportuna funzione di utilità. Arrow e Debreu grazie a una serie di assunzioni teoriche (che sono del tutto irrealistiche) furono in grado di provare l’esistenza dell’equilibrio nel mercato. Tale situazione di equilibrio corrisponderebbe a ciò che gli economisti chiamano «l’ottimale di Pareto», cioè una situazione in cui nessun arrangiamento concepibile dei prezzi o delle quantità di prodotti, persino gestite da un pianificatore centrale infinitamente intelligente, porterebbe a un miglior esito senza perdite per almeno un produttore o un’impresa. La dimostrazione dell’esistenza di un equilibrio competitivo dovrebbe permettere di comprendere la maniera in cui funziona un’economia di mercato, dove ognuno agisce indipendentementedagli altri. Tuttavia, non è mai stato dimostrato, anche usando ipotesi assolutamente irrealistiche, che permettono di semplificare il problema in modo del tutto irragionevole, che un equilibrio concorrenziale esista, sia unico e che, inoltre, sia stabile – cosa fondamentale perché tutta questa costruzione abbia un senso.
I problemi concettuali con quest’approccio sono davvero enormi e sono stati dibattuti da tantissimi economisti le cui critiche sono state nascoste sotto il tappeto e lasciate senza risposta. Diversi fisici hanno anche cercato di capire il problema, ma sono rimasti generalmente perplessi da quest’approccio al problema economico. Da più di cinquant’anni, infatti, si conoscono e si studiano sistemi fisici complessi per i quali, anche se uno stato di equilibrio stabile esiste in teoria, esso può essere totalmente irrilevante in pratica, perché il tempo per raggiungerlo è troppo lungo. Altrimenti vi sono sistemi che sono intrinsecamente fragili rispetto all’azione di piccole perturbazioni, evolvendo in modo intermittente con un susseguirsi di epoche stabili intervallate da cambiamenti rapidi e imprevedibili. In altre parole, per molti sistemi fisici l’equilibrio stabile non è una condizione raggiunta in maniera naturale: diversi sistemi raggiungono invece una situazione di meta-stabilità e non un vero e proprio equilibrio, come quello di un gas in una stanza isolata o di una pallina in fondo a una valle, cioè una situazione di temporanea stazionarietà ma di potenziale instabilità, tanto che è sufficiente una piccola perturbazione per causare grandi effetti. Come succede quando, per esempio, si accumula l’energia potenziale per effetto del moto relativo di due faglie tettoniche. Questa energia, quando supera una certa soglia critica, sarà a un certo punto rilasciata sotto forma di onde sismiche e cioè ci sarà un terremoto: la dinamica dei terremoti è dunque rappresentata da periodi di apparente quiete in cui il sistema si carica e terremoti improvvisi (ciclici e non periodici) in cui l’energia accumulata è rilasciata.
Proseguendo in questa metafora ci possiamo chiedere quale sia la causa dell’accumulazione di energia potenziale nel sistema economico, che è rilasciata al momento di una crisi. A mio parere la causa è proprio la fiducia cieca e immotivata nell’autoregolamentazione dei mercati, da cui consegue l’enorme sviluppo di strumenti finanziari che grazie alla liberalizzazione dei mercati e alla loro deregolamentazione, secondo il credo teorico, dovrebbero distribuire il rischio in maniera ottimale. Esattamente il contrario di quello che succede in realtà, come purtroppo abbiamo sperimentato.
Seguito dell’intervista pubblicata su Micromega a cura di Olmo Viola e Francesco Surman clicca qui per leggere la versione integrale e qui per le varie puntate su questo blog