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Ricerca scientifica, specializzarsi o diversificare: quali politiche per l’Italia

I dati dicono che le nazioni leader di maggior successo tecnologico non si specializzano in solo specifici domini scientifici quanto piuttosto diversificano il più possibile il loro sistema di ricerca. Questo dovrebbe spingere l’Italia a un cambio di rotta, rispetto alle attuali politiche di accentramento.agdig.png

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“Serve una politica scientifica e dell’università”

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“In questo momento la cosiddetta quota premiale è una parte del Fondo di finanziamento ordinario che viene drenata dalle università più deboli per darla a quelle più forti. È l’ANVUR a decidere che cosa è debole e che cosa forte, in base ai suoi criteri – sintetizza Francesco Sylos Labini, astrofisico che lavora al Centro Studi e Ricerche Enrico Fermi di Roma – Non abbiamo bisogno di questo, ma di intraprendere una politica scientifica e dell’università. Per fare un esempio concreto: non serve avere la clinica oftalmica migliore del mondo a Torino e tutto il resto del sistema sanitario a pezzi. È invece utile avere un Ssn che sia mediamente di buon livello perché se una persona ha un problema di salute a Messina deve poter trovare un ospedale adeguato. Questa è l’università che ci serve. Per raggiungere questo obiettivo non bisogna pensare in termini di premialità, di eccellenza, ma in termini strutturali di politica scientifica. Occorre cercare di aiutare le situazioni che sono in sofferenza, invece di chiuderle”.

 

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Ricerca: gli italiani vincono i finanziamenti, il Paese ci perde

 

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L’Italia taglia da otto anni. “I fondi Erc sono la ciliegina sulla torta. Il problema è che la torta in Italia non c’è, ed è un problema strutturale che viene dalla legge 133 del 2008” dice Francesco Sylos Labini, astrofisico all’Istituto dei Sistemi Complessi del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) a Roma. Sebbene già all’epoca il settore non se la passasse bene, infatti, nel 2008 il governo Berlusconi-Tremonti, con la legge 133 dispose da un lato il blocco del turnover (che all’inizio prevedeva un nuovo assunto ogni cinque che andavano in pensione), dall’altro una progressiva riduzione dei fondi destinati al sistema universitario.

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