M: Ricapitolando: i modelli degli economisti risultano troppo astratti e sfuggono alla falsificazione della realtà fallendo le previsioni, non spiegano i fenomeni, fanno un uso strumentale-retorico della matematica, non ottengono sostegno empirico. Questi sono marchi tipici della pseudoscienza e l’attività dell’economista può essere secondo lei accostata a quella dell’astrologo che predice il futuro in base a incroci casuali di astri. Nel loro modello tutto funziona alla perfezione, peccato che la realtà non funzioni così. Ci si potrebbe domandare se forse non stiano cercando qualcosa che non c’è, ponendosi le domande sbagliate. Le regolarità della natura che la ricerca scientifica cerca di individuare sono quasi sempre indipendenti dall’attività umana, dalle nostre decisioni, dalla nostra storia. Le regole delle società umane e le relazioni economiche sono invece qualcosa che dipende da noi in modo essenziale, sono il risultato di interazioni e contrattazioni, di una lunga storia tutta umana. Tentare di estrapolare leggi universali utili poi a elaborare schemi predittivi dalla società umana non è paragonabile al tentativo di estrapolare leggi di natura dal gioco del Monopoli?
FSL: Bisogna sempre precisare che stiamo discutendo di quegli economisti neoclassici che usano in maniera infondata scientificamente idee e concetti che sono stati sviluppati magari cinquanta anni fa da studiosi e intellettuali di un certo livello. Le leggi dell’economia, a differenza di quelle naturali, non sono né universali né immutabili. Inoltre, mentre nel caso dei fenomeni naturali non si può intervenire sulle leggi che regolano la loro dinamica, nel caso dell’economia queste leggi sono frutto delle decisioni umane e dunque possono essere cambiate dall’azione politica. Per questo motivo i decisori politici, così come l’opinione pubblica nel suo insieme, dovrebbero essere molto sensibili al tema delle previsioni e alla capacità dei modelli teorici di spiegare la realtà.
Quando si parla di economia, infatti, non è possibile rapportarvisi alla stregua di una disciplina delle scienze naturali, poiché l’oggetto del suo studio è la società con caratteristiche storicamente determinate. Guardare a un «modello» piuttosto che a un altro nell’interpretazione fondamentale dei fatti economici non significa quindi semplicemente introdurre assunzioni alternative rispondenti a uno statuto epistemologico in grado di testarne la validità – così come accade nelle scienze naturali. Piuttosto, significa sposare delle vere e proprie Weltanschauungen diverse, visioni alternative del mondo in cui la componente egemonica della cultura dominante in ogni dato periodo svolge un ruolo determinante. In questo senso è possibile affermare che la genesi della crisi, il suo svolgimento, le possibilità di uscirne e gli effetti sulle economie che la attraversano sono intrinsecamente collegati a un problema di egemonia culturale. Il perdurare delle politiche di austerità, malgrado sia stato ampiamente mostrato che stiano aggravando la crisi piuttosto che mitigarla, è un esempio eclatante di questa situazione. L’origine della crisi è dunque prima che politica, culturale.
Seguito dell’intervista pubblicata su Micromega a cura di Olmo Viola e Francesco Suman clicca qui per leggere la versione integrale e qui per le varie puntate su questo blog