M: Si verifica dunque una discrasia tra modello teorico e realtà. I modelli economici si basano su assunzioni che risultano essere approssimazioni della realtà troppo semplicistiche. Gli economisti paiono perdersi in un iperuranio di bei modelli, coerenti solo matematicamente, ma che falliscono sistematicamente nelle loro previsioni. E imperterriti proseguono nel loro vilipendio della realtà. A suo parere quanto è legittimato un economista a dirsi scienziato o l’economia a definirsi scienza?
FSL: Uno dei problemi cruciali è proprio quello. Si badi bene che l’economia è una scienza sociale molto difficile, interessante e affascinante. Ma non è questo il punto della discussione sul carattere pseudo-scientifico dell’economia neoclassica che usa una gran quantità di matematica per dare l’impressione di risolvere il problema economico attraverso teoremi rigorosi. Anzi, quest’apparente veste tecnico-scientifica non corrisponde, come abbiamo discusso nel libro in dettaglio, né alla capacità di fare previsioni per il futuro né allo sviluppo di una tensione per confrontare i modelli con le osservazioni empiriche.
In realtà l’apparente veste tecnico-scientifica è un trucco che serve solo a far passare quel tipo di economia per una scienza capace di trovare in maniera univoca le risposte alle diverse questioni che riguardano la vita economica di un paese, di una società o di un individuo, in altre parole è una maniera artificiosa per far apparire le scelte politiche come risultati tecnico-scientifici, e quindi neutri.
In altre parole: vogliamo giocare a fare gli scienziati? Bene: gli scienziati spiegano fenomeni, nel senso che sono capaci di formulare modelli per spiegare le osservazioni in maniera precisa e sono anche capaci di fare delle previsioni per il futuro (e magari si assumono anche le responsabilità dei propri fallimenti). Gli economisti, e qui mi riferisco ai neoclassici e più tecnicamente all’assunzione di equilibrio che sottende buona parte dell’economia moderna (anche quella che si discosta dal cosiddetto neoliberismo), non sono capaci né di fare previsioni di successo né di spiegare in modo preciso la realtà come avviene per le scienze dure. Tantomeno traggono conseguenze dai loro fallimenti, quale ad esempio eclissarsi dal dibattito pubblico come avrebbero dovuto fare molti di loro già allo scoppio della crisi.
In pratica si tratta di una pseudo-scienza e di pseudo-scienziati, non diversi dagli astrologi che anche usano la matematica e un formalismo apparentemente rigoroso ma completamente irrilevante per spiegare la realtà. Questa pseudo-scienza è utilizzata per supportare interessi politici ed economici ben precisi e questo a mio parere è particolarmente scorretto proprio rispetto all’etica di uno studioso.
Seguito dell’intervista pubblicata su Micromega a cura di Olmo Viola e Francesco Suman clicca qui per leggere la versione integrale e qui per le varie puntate su questo blog