M: Gli atenei sono diventati, lei scrive, specchio della disuguaglianza economica e sociale del paese. Pochi virtuosi ottengono i finanziamenti di merito e molti rimangono a bocca asciutta. In questo ci vede anche una colpa dei metodi di valutazione del “merito” (vedi VQR – Valutazione della Qualità della Ricerca) che contribuiscono a beneficiare chi già appartiene a un élite ristretta? Come si potrebbe arrivare alternativamente a una ricerca più cooperativa e meno competitiva?
FSL: Ci sono varie questioni che s’intrecciano:
(1) la parte premiale del fondo di finanziamento ordinario è un nome di orwelliana memoria. Non c’è alcun fondo premiale, c’è il fondo ordinario decurtato del 20% rispetto al 2008. Una parte di questo fondo è chiamato premiale, ma appunto non è un nome corretto perché la parola premio fa immaginare qualcosa in più. Invece si tratta di qualcosa che è molto meno per molti e qualcosa poco in meno per pochi altri. Tutti gli atenei hanno subìto un taglio delle risorse (in una situazione in cui il finanziamento già non era al pari dei paesi con cui vorremmo competere), ma molti l’hanno subìta più di altri. In questa situazione la valutazione è stata usata come uno strumento per drenare risorse ad alcuni atenei, in particolare quelli del centro sud, per trasferirli agli atenei del centro nord.
(2) I criteri e le modalità con cui è stata fatta la ripartizione del fondo premiale della VQR sono da una parte completamente arbitrari, cioè non corrispondono affatto alla “misura” della “qualità” della ricerca, e dall’altra non trovano riscontro in alcun altro esercizio di valutazione nazionale effettuato sul pianeta Terra.
(3) Nel Regno Unito, ad esempio, non si mettono in competizione per risorse scarse le università della Scozia con Oxford e Cambridge ma si è diviso il paese in tre macroregioni per non creare degli squilibri geografici, come sta invece accadendo da noi. Per fare un esempio le università della Sardegna sono vicine alla chiusura: ha senso chiudere delle università?
(4) La VQR è un esempio di governo attraverso i numeri: la politica scientifica e dell’istruzione superiore in un paese avanzato non può essere fatta in questo modo e soprattutto non può essere lasciata nelle mani di gente incompetente che la interpreta in questo modo.
(5) Per quanto mi riguarda prima di spendere circa 200 milioni di euro per fare la VQR mi chiederei se ad esempio nel Regno Unito, dove si fa da una trentina d’anni, un esercizio di valutazione di questo tipo ha aumentato la qualità della ricerca. La mia risposta, da quello che ho letto nella letteratura, è negativa.
(6) La risposta alla vostra domanda “Come si potrebbe arrivare alternativamente a una ricerca più cooperativa e meno competitiva?” è semplice: distribuire risorse attraverso progetti a chi è capace di proporre idee innovative. Dunque è necessario aprire bandi con finanziamenti piccoli, medi e grandi. Bandi che abbiano scadenze annuali, o anche semestrali, e in cui i tassi di accettazione si aggirino intorno al 30% almeno. Invece di spendere 200 milioni in un esercizio di valutazione che non solo è inutile ma è pure dannoso, in quanto premia chi è già premiato e continua a perturbare l’oggetto di valutazione, cioè il ricercatore, con criteri senza senso. Bisogna finanziare progetti di diversa natura lasciando ampi spazi ai giovani. È necessario cambiare tutto nella gestione della ricerca che si è creata negli ultimi vent’anni perché è tutto profondamente sbagliato.
Seguito dell’intervista pubblicata su Micromega a cura di Olmo Viola e Francesco Suman clicca qui per leggere la versione integrale e qui per le varie puntate su questo blog
Completamente d’accordo a parte i progetti a 6 mesi che secondo me è un periodo troppo breve per ottenere un risultato. Metterei un anno come durata minima
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Grazie del commento ! Forse non mi sono spiegato bene ma i sei mesi erano riferiti all’uscita dei bandi non alla durata dei progetti che, sono d’accordo, devono durare almeno un anno.
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