M: Il quadro che viene a dipingersi pare piuttosto cupo visti i tanti effetti collaterali dei modelli “platonici” degli economisti sulle istituzioni e sulla qualità della vita dei cittadini, inoltre i politici non sembrano ben predisposti ad alcuna epifania su tali questioni. Lei cita nel suo libro un articolo di Jean Philippe Bouchaud, datato al 2008 e pubblicato su Nature, che invoca una rivoluzione scientifica per l’economia. Isaac Asimov ne “il ciclo della fondazione” aveva inventato una scienza statistica immaginaria, la psicostoria (un misto di psicoanalisi e teoria dei giochi), in grado di prevedere l’evoluzione della società umana. Possiamo usarla come analogia per domandarle quanto distanti siano eventuali programmi di ricerca odierni in economia, magari bollati come eretici dai neoclassici, da quell’ideale conoscitivo auspicato e realizzato nelle storie di Asimov.
FSL: A mio parere il problema è il seguente. Chi maneggia gli strumenti della fisica moderna si rende facilmente conto che il concetto di equilibrio è usato in economia come era usato in fisica alla fine dell’Ottocento. C’è un secolo di studi e di scoperte che è lasciato fuori dalla teoria fondamentale. Il fatto che gli economisti neoclassici credano che il problema economico si possa risolvere attraverso un teorema matematico, a un fisico fa tenerezza. I fisici sono abituati a ragionare in termini di ordini di grandezza, mentre gli economisti subiscono un insegnamento eccessivamente formale e dogmatico. Ma il problema di fondo rimane un problema politico e di questo sono consci gli economisti che al momento passano per “eterodossi”: la discussione e il confronto tra approcci differenti sono sicuramente la linfa vitale per un campo come l’economia. Ma al momento gli eterodossi sono trattati come i dissidenti dei regimi totalitari.
Ad esempio, come ha scritto Paul Krugman, malgrado il fatto che le previsioni della posizione pro austerità siano state smentite dai dati empirici, la teoria a favore dell’austerità ha rafforzato la sua presa sull’élite proprio in quanto il programma dell’austerity avvantaggia la posizione dei ceti abbienti: «ciò che il più ricco un per cento della popolazione desidera diventa ciò che la scienza economica ci dice che dobbiamo fare».
Dunque il problema è al contempo politico e culturale: bisogna agire su entrambi i fronti, ma a mio parere il campo culturale è al momento quello più interessante, dove davvero si possono cambiare le cose. La politica non potrà che seguire gli avvenimenti.
Seguito dell’intervista pubblicata su Micromega a cura di Olmo Viola e Francesco Suman clicca qui per leggere la versione integrale e qui per le varie puntate su questo blog